BIGA - Info Generali sulla produzione

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    Ciao a tutti,

    mi sembra che non ci sia una discussione sulla Biga ed ho trovato molto interessante un articolo sulla Biga della Dott.ssa Simona Lauri che copio incollo qui sotto :

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    Nell’ambito della panificazione, una delle metodiche di lavoro più diffuse in assoluto è la lavorazione indiretta con biga. Fa parte della routine quotidiana tra i panificatori artigiani nonostante sia, qualche volta anche per i più esperti, la loro croce – delizia. Questo per dire che, ciò che sulla carta sembra semplice agli occhi di chi si crede “esperto” solo perché ha iniziato a lavorare questa tecnica da poco tempo, in realtà così non è e si possono prendere grandissimi abbagli. E’ doverosa una precisazione; nel linguaggio comune dei panificatori artigiani è molto diffuso il modo di dire “preparo i lieviti” intendendo “preparo le bighe” e questo fa intuire come la preparazione implichi l’utilizzo indispensabile e insostituibile del S. cerevisiae cioè lievito compreso, di birra, industriale (chiamatelo come volete!) fresco. Non si può preparare una biga senza l’utilizzo del lievito fresco S. cerevisiae, poiché questo blastomicete è utilizzato non solo come semplice “ingrediente” ma come un vero e proprio “starter” della fermentazione, il cui unico scopo è di creare la coltura dominante e di garantire la buona riuscita della maturazione della biga stessa. Problemi di fermentazione o in linea di massima problemi riconducibili all’attività fermentativa del Saccharomyces cerevisiae, si ripercuotono inequivocabilmente non solo sulla riuscita della biga, ma su tutte le fasi successive dell’intera lavorazione.

    In linea di massima i motivi che sono alla base di una tale scelta operativa sono molteplici e vanno principalmente ricercati in:

    Specifica tipologia di pane che si vuole produrre in cui l’ottimizzazione del risultato è data solo ed esclusivamente dall’utilizzo di questa tecnica lavorativa.
    Migliori caratteristiche reologiche dell’impasto stesso, digeribilità, e conservazione del prodotto finale.
    Valori più bassi di pH tali che possano attivare enzimi (fitasi), rallentare o addirittura impedire la proliferazione di muffe, microrganismi patogeni e/o responsabili di alterazioni o malattie del prodotto finito.
    Utilizzo nell’impasto successivo o “rinfresco” di una minore percentuale di lievito compresso rispetto alla lavorazione diretta.
    Facilità di standardizzare sia quantitativamente sia qualitativamente la produzione.
    Preparazione giornaliera relativamente semplice, mirata alla sola scelta degli ingredienti, a pochi minuti d’impastamento e allo stoccaggio delle bighe nelle apposite celle.



    Seppur la sua preparazione sia di apparente semplicità, in realtà è molto facile compiere degli errori grossolani come:

    Scelta errata di una farina, da un punto di vista reologico, in riferimento alle ore di riposo.
    Temperatura non corretta dell’acqua da utilizzare.
    Tempi d’impastamento eccessivi o ridotti per il tempo di maturazione preso in considerazione.
    Temperatura di stoccaggio errata.
    Percentuali non esatte di utilizzo sia del Saccharomyces cerevisiae sia dell’acqua.
    Scelta sbagliata della tipologia di lievito compresso da utilizzare e della sua capacità fermentativa “lenta” oppure “rapida”.



    1. Non è certo stato un caso, il fatto che la scelta della farina e delle sue caratteristiche reologiche (in particolar modo i valori riguardanti la stabilità (S), alla forza (W) e al rapporto tra la tenacità (P) e l’estensibilità (L) sia stata nominata per prima nell’elenco degli errori più comuni che sono fatti quando s’inizia a preparare la biga, poiché è proprio dalla farina che possono nascere i primi problemi di “tenuta”. Molto spesso la convinzione che utilizzare sempre la stessa farina “debole” oppure con valori di forza molto elevati, uguali o oltre i 400 W, sia sinonimo di garanzia di successo nella conduzione della biga, porta a inevitabili riscontri negativi nella pratica quotidiana sia per un eccesso di debolezza sia di forza.

    In linea di massima per la produzione di bighe fino a un massimo di 24 ore di fermentazione a +18°C sono utilizzate farine equilibrate per quanto riguarda il P/L (il rapporto tra il valore della tenacità e dell’estensibilità) cioè con valori compresi tra 0.40 e 0.60 e con valori di W al massimo di circa 320 - 330. Nella realizzazione invece di bighe con un tempo di maturazione più corto, per esempio 8 – 10 ore sempre a +18°C, si può procedere operando una scelta differente, focalizzando l’attenzione su farine che abbiano valori di W di circa 250 - 280 e P/L sempre compreso tra 0.40 e 0.60. A questo punto, entra in gioco l’esperienza, che ti fa capire come farine che sulla carta non sarebbero adatte a questa tecnica, in realtà, se opportunamente lavorate, possono rivelarsi ottime.



    2. Dopo aver operato un’accurata valutazione sulla farina da utilizzare, si passa a quello che per antonomasia è il punto dolente di tutta la lavorazione: qual è la temperatura dell’acqua che devo utilizzare?

    Come per ogni impasto, anche per le bighe, questo parametro fisico riveste un ruolo chiave e di estrema importanza sia come riscaldamento meccanico, sia come valore della temperatura dell’impasto a fine impastamento sia e soprattutto come valore fondamentale per quanto riguarda l’acqua che deve essere utilizzata. Anche in questo caso, come per tutti gli impasti diretti e/o indiretti, si fa riferimento all’applicazione di una semplice formula empirica, ma molto pratica che tiene conto sia della temperatura ambiente (cella fermabiga o in qualsiasi altro locale) e sia di quella della farina utilizzata.



    55 – temperatura ambiente – temperatura farina = temperatura dell’ acqua da utilizzare



    Dopo un’attenta analisi della formula matematica, si evincono due considerazioni; la prima che non è preso in considerazione il riscaldamento meccanico e la seconda che il valore ottenuto può essere anche negativo. La risposta al primo punto risiede nel fatto che sono utilizzate impastatrici o molto lente o solamente in prima velocità o in retromarcia proprio per ridurre “quasi” a un fattore trascurabile (non è mai realmente trascurabile!) il riscaldamento dovuto all’azione meccanica degli organi in movimento dell’impastatrice, mentre la seconda consiste nel considerare in simultanea altri fattori e interagire su di essi. L’immediata soluzione del problema è rappresentata dall’utilizzo delle celle fermabiga in cui la temperatura interna della cella è mantenuta costante a +18°C per un periodo di riposo al massimo di 24 ore oppure essere impostata prima a +4°C e successivamente a +18°C per riposi che superano le 24 ore e fino a un massimo di 48 ore. Questa soluzione porta, nel periodo estivo, a lavorare con acqua a un valore di temperatura che generalmente non è quasi mai inferiore ai +4°C.

    Nel caso in cui non si possedesse una cella ferma biga, la scelta potrebbe essere rappresentata nell’adottare soluzioni alternative come:



    Ridurre il tempo di riposo (preparare bighe più corte).
    Aggiungere il sale.
    Ridurre ulteriormente i tempi di impastamento.
    Lavorare con lieviti a “lenta” attività fermentativa.
    Lavorare sempre e comunque con acqua a una temperatura prossima a O°C.



    3. Dopo aver operato un’attenta valutazione della scelta della farina e della temperatura dell’acqua, è il momento di procedere con la pesatura, la miscelazione e l’impastamento degli ingredienti.

    La biga è costituita da: (si ricorda che le percentuali sono calcolate sulla farina utilizzata!) Nel caso si utilizzi sfarinati di frumento con parti cruscali, la percentuale di acqua può arrivare anche al 50%

    Farina,
    Acqua 45%,
    Lievito compresso 1%



    Per quanto riguarda invece i tempi d’impastamento, sempre se il dimensionamento della vasca dell’impastatrice non è eccessivo rispetto alla quantità di farina utilizzata e quindi di biga prodotta, si consiglia di adottare indicativamente i seguenti tempi per un riposo di 18 – 20 ore a +18°C: (condizione settimanale più diffusa)

    Impastatrice a spirale: 1/1.5 minuti in retromarcia e 2/3 minuti in prima velocità
    Impastatrice a bracci tuffanti: 5/6 minuti in prima velocità
    Impastatrice a forcella 7/8 minuti



    Dalla valutazione dei minuti d’impastamento, appare chiaro che non si ottiene un impasto completamente impastato, ma solo grossolanamente miscelato. E’ importante ribadire che i minuti del timer dell’impastatrice dipendono non solo dal tipo d’impastatrice, dal dimensionamento della vasca rispetto alla quantità di farina introdotta, dalle ore di stoccaggio, dalle proprietà reologiche della farina, ecc.; più è lungo il riposo minore sarà il tempo e viceversa!

    La pratica quotidiana porta a una successiva considerazione: a parità di tutte le variabili in gioco i tempi d’impastamento influenzano l’attività fermentativa a tal punto da ottenere, su una biga realizzata con una percentuale di lievito inferiore allo standard 1.0% (0.8%), una più rapida maturazione se impastata con tempi maggiori, rispetto a una conduzione standard con 1.0% di lievito, ma impastata con tempi inferiori!



    4. La condizione da preferire in questo caso, è di operare un riposo a +18°C per un massimo di 24 ore; per bighe più lunghe di 30 – 32 e fino cioè a un massimo di 48 ore, la temperatura da garantire è +4°C per le prime 6 – 8 - 24 ore e per le restanti 24 ore sempre a +18°C. Pertanto, la cella fermabiga, per una biga con 30 ore di fermentazione sarà così impostata: 6 ore a +4°C e le restanti 24 ore a +18°C. La scelta della temperatura di stoccaggio non è proprio un caso in quanto, prove effettuate, hanno mostrato che dopo 20 ore di fermentazione a +18°C la temperatura rilevata sempre a “cuore” delle bighe, ha evidenziato un valor medio di temperatura di +20.7°C mostrando però, durante il riposo o maturazione o periodo di tempo che intercorre tra la fine dell’impastamento e il successivo rinfresco, una variazione dei valori di temperatura non sempre prevedibile.

    E’ quasi d’obbligo a questo punto fare una successiva analisi: la temperatura esterna di stoccaggio di +18°C determina una temperatura interna, a cuore, superiore, anche con valori prossimi a +24°C, per cui è abbastanza intuibile il fatto che, alzando la temperatura esterna, si possa creare internamente una condizione di un eccessivo “autoriscaldamento” non sempre compatibile con lo sviluppo, la crescita e il metabolismo dei saccaromiceti; così come, la maggior parte delle volte, temperatura a cuore di +14°C, è molto spesso, indice di mancanza di sviluppo e attività metabolica di Saccharomyces cerevisiae.



    5, 6. A parità di tutte le condizioni fino a questo momento considerate, è evidente che l’acqua, come elemento vitale, svolge un ruolo importante in tutto il processo della maturazione; aumentare il quantitativo di acqua nell’impasto equivale a creare una condizione di maggior “vita” microbica con la diretta conseguenza di avere un’accelerazione di tutti i processi metabolici a essi correlati sia che si riferiscano ai saccaromiceti sia ad altre forme come batteri, muffe, forme patogene ecc.

    Un altro punto importante è la convinzione errata che per stimolare o rallentare il processo fermentativo si debba utilizzare una percentuale minore o maggiore di lievito. E’ stato più volte sottolineato che sono ben altri i parametri che possono stimolare l’attività fermentativa dei lieviti, non certo aumentando la quantità iniziale come starter. In questo settore, la pratica microbiologica insegna che, così facendo, si ottengono effetti esattamente contrari!

    Questo breve contributo ha la presunzione di ribadire un assioma sul quale si basa la tecnologia dell’arte bianca. Se ciascuno di voi vuol fare qualcosa di diverso, liberissimo anzi, ben venga, ma …non chiamatela biga!
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    Saluti.
     
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  2. Marea(ex Ondadeltempo)
     
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    Come mi piacerebbe provare un pane di questa dottoressa...!🥴
     
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    Grazie Danny
     
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    Grazie, hai ragione Danny , ci stiamo lavorando, pian piano riempiremo tutte le sezioni. :)
     
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  5. Stefano Pecchioli
     
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    Sempre molto interessanti gli articoli della Dott.a Lauri che tuttavia seguo da un po di tempo. Non capisco però quali siano i lieviti a lenta attività fermentativa. Premetto che per comodità di stoccaggio e praticità utilizzo il granulare secco del Mastro Fornaio e non il panetto compresso fresco. Forse fra queste due tipologie di lieviti, pur essendo entrambe costituite dal S.Cerevisiae esistono marche a lenta attività fermentativa rispetto ad altre? A cosa si riferisce esattamente la Dottoressa?
    Grazie
     
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    Ciao DannyBD. Posso chiederti dove hai estrapolato questo articolo? Conosci un libro della dott.ssa Lauri dove sono spiegati questi processi in modo minuzioso? Es. Come gestire il lievito nella sola biga in base alla TA, o la temperatura di stoccaggio? Un impasto per contemporanea prodotto con biga quanto deve puntare in massa se stiamo in estate, o inverno?

    Sai dove apprendere queste notizie? Libri, siti? Grz
     
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    CITAZIONE (Casper13 @ 9/9/2022, 14:11) 
    Ciao DannyBD. Posso chiederti dove hai estrapolato questo articolo? Conosci un libro della dott.ssa Lauri dove sono spiegati questi processi in modo minuzioso? Es. Come gestire il lievito nella sola biga in base alla TA, o la temperatura di stoccaggio? Un impasto per contemporanea prodotto con biga quanto deve puntare in massa se stiamo in estate, o inverno?

    Sai dove apprendere queste notizie? Libri, siti? Grz

    Ciao,

    non sono a conoscenza di libri specifici sull'argomento, posso suggerirti il gruppo FB "Mastebiga Community" dove ci sono diverse persone molto competenti sull'argomento Biga, hanno anche un canale YT.
    Già leggere i post nel gruppo aiutano a capire molto sulla gestione ;-)

    Saluti
     
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6 replies since 20/11/2018, 10:43   924 views
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